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Benvenuti nel blog di Antonio e Roberto Tartaglione. Oltre a fotografare cerchiamo quando possibile di ragionare su argomenti che ci stanno a cuore.

Punti di riferimento.

La pubblicazione di un libro, come un viaggio o una ricorrenza, può servire a marcare un punto di riferimento nello scorrere continuo del tempo e delle vicende personali, che ci aiuti a individuare una rotta nella nostra navigazione. Siamo stati perciò felici per la pubblicazione, qualche giorno fa,  del nostro volume “Ways of Mercy in Basilicata“, che segue “Winter Rites” (2021) e “Holy Passion” (2022) e come gli altri due presenta testi in inglese ed in italiano.

E’ un percorso attraverso riti e luoghi mariani della Basilicata, partito come sempre da una esperienza diretta: la scoperta dei pellegrinaggi che seguono il simulacro della Vergine negli spostamenti dal paese al Santuario e viceversa. Il primo pellegrinaggio che abbiamo documentato è stato, nel 2013, quello della salita al Sacro Monte della statua raffigurante la Madonna di Viggiano (PZ). Fotografare un pellegrinaggio di questo tipo è una esperienza “totale” che coinvolge gambe, cuore, occhi, per rendere, con il linguaggio che abbiamo a disposizione, la situazione di fede e bellezza in cui ci troviamo immersi. La nostra ricerca è poi proseguita con la documentazione di altri pellegrinaggi, luoghi di culto (Santuari, edicole votive) e oggetti d’arte (statue, dipinti, ex-voto)

Il volume quindi mette in relazione il patrimonio materiale e quello immateriale della Basilicata in un viaggio che speriamo possa coinvolgere il lettore. Abbiamo articolato l’opera in varie sezioni che segnano il nostro itinerario: culto mariano nell’arte / montagne / santuari / devozione / cinti, portatori, suonatori / pellegrinaggi.

Antonio e Roberto Tartaglione: Ways of Mercy in Basilicata: la Madonna del Sacro Monte di Viggiano ed i riti Mariani in Lucania  / introduzione di Don Paolo D’Ambrosio, Rettore del Santuario / testi di Agnese Ferri / Graficom Edizioni, Matera 2023 / testi in inglese ed italiano / cm 23×33, edizione cartonata con sovracoperta / ppg 352

in questa cartina il nostro percorso nella regione alla ricerca dei luoghi e delle situazioni

La prima volta

Come si usa dire, c’è sempre una prima volta. A noi è capitato qualche mese fa quando finalmente abbiamo tenuto in mano la prima copia del volume “Winter Rites” (Graficom Edizioni, Matera), vedendo finalmente pubblicato il nostro progetto fotografico a lungo termine dedicato ai Carnevali Lucani.

Siamo partiti dal nostro interesse per il rito dei “Campanacci” a San Mauro Forte (dove ci siamo recati più volte a partire dal 2009) per poi allargare la ricerca agli altri Comuni che fanno parte della Rete dei Carnevali Lucani. Abbiamo iniziato così a percorrere la Regione in lungo e in largo nei mesi invernali per seguire gli eventi veri e propri (sopratutto la ricorrenza di Sant’Antonio Abate ed il Martedì Grasso) e lavorare su vari approfondimenti (ritratti su fondale bianco, messe in scena di tipo teatrale, paesaggi e così via). Nel 2020 abbiamo approfittato della pausa forzata dovuta alla pandemia per dedicarci finalmente alla selezione ed all’editing delle foto, realizzando un mock-up a grandezza naturale con l’impaginazione definitiva e qualche breve testo. Abbiamo poi avuto l’onore di avere l’appoggio di Ferdinando Mirizzi, antropologo, docente presso l’Università della Basilicata, che ha accettato di scrivere un suo testo che arricchisce il volume.

un momento di backstage, 17 gennaio 2014 a Tricarico
il fondale montato in piazza

La stampa è stata realizzata da Grafiche Deste a Capurso (BA), dove ci siamo recati più volte per seguire e documentare l’avanzamento lavori, nell’affascinante mondo delle macchine offset e delle fasi di allestimento.

Il volume segue un percorso non descrittivo, bensì emozionale che partendo dai paesaggi della Basilicata invernale arriva alle maschere su fondo bianco passando per i volti dei protagonisti, le sfilate, la fabbricazione dei costumi.

Chi fosse interessato all’acquisto del volume può contattarci (studio@tartaglione.com), abbiamo a disposizione dall’Editore un certo numero di copie che possiamo offrire ad un prezzo interessante.

Il futuro della storia dell’arte ?

Si è parlato spesso di un sistema sicuro per garantire la tracciabilità delle foto disperse in rete e proteggere il diritto d’autore. Alcune piattaforme utilizzano da anni  la tecnologia del blockchain, come ad esempio Tutelio , che abbiamo provato ad utilizzare un paio di anni fa per “proteggere” foto cui tenevamo molto prime di immetterle nella rete. Ma la tecnologia del blockchain sta anche trasformando profondamente il mercato di tutti i prodotti delle attività creative. E’ stato coniato, nel caso delle opere d’arte dematerializzate, il termine NFT (Non Fungible Token).

Screenshot di “Suggestion.one (Self Portrait!)” di Beeple (03 dicembre 2010), dal sito dell’artista (https://www.beeple-crap.com/everydays).

Recentemente ha fatto il giro del mondo questa notizia: un collage di 5000 immagini (un quadrato di 21.069 x 21.069 pixels) create da Mike (Michael Joseph) Winkelmann (conosciuto in rete come Beeple), una al giorno, dal 1 maggio 2007 al 7 gennaio 2021, è stato venduto come NFT da Christie’s per la cifra record di $ 69.346.250,00. Le immagini utilizzate per il collage “EVERYDAYS: THE FIRST 5000 DAYS” sono sul sito dell’artista, che nel frattempo è arrivato al giorno 5.089 (ad oggi). Winkelman le ha divise in “rounds” e ha anche specificato la tecnica utilizzata. Anche se negli ultimi anni ha usato sopratutto software di rendering 3D (in particolare Cinema 4D  e Octane) mi ha colpito il round 4 dove ci sono composizioni fotografiche interessanti, spesso organizzate in dittici o trittici, che dimostrano una conoscenza degli stilemi della fotografia contemporanea. Molti critici (ad esempio Ben Davis su Art Tribune) hanno trovato le immagini di Beeple ricche di riferimenti a stereotipi sessisti e razzisti, che comunque non hanno spaventato gli investitori che hanno deciso di acquistare l’opera.

Screenshot di “Easily the most boring subject ever photographed” di Beeple (24 agosto 2010), dal sito dell’artista (https://www.beeple-crap.com/everydays).

Ho cercato di capire come questa nuova passione dei collezionisti per i file NFT possa interessare anche i fotografi. In questo articolo di Meira Gebel su Petapixel, attraverso le interviste a Donnie Dinch, amministratore di Bitski (piattaforma dedicata al commercio on line degli NFT), e al fotografo Bryan Minear, vengono chiariti alcuni punti essenziali. “NFT sta per “token (alla lettera: gettone) non fungibile”. Non fungibile significa che non può essere scambiato con un altro token di valore simile. E’ unico per definizione. Ad esempio non puoi scambiare una foto di Dorothea Lange con una di Anne Leibovitz, non sono la stessa cosa. Gli NFT sono verificati usando il blockchain, che sostanzialmente è una cronologia trasparente della proprietà, compravendita, e commercio; nessuno la può alterare e tutti la possono vedere. La blockchain assicura che si potrà sempre risalire dal proprietario attuale al creatore dell’opera. Alcune piattaforme che commerciano in NFT, come Bitski, chiedono ai loro creatori di connettere anche i loro accounts social per un ulteriore livello di verifica. Effettivamente è un modo per possedere un bene digitale – dice Dinch – consideriamo la blockchain come una sorgente globale di verità su chi possiede cosa, e l’ NFT è come l’unità atomica di questa proprietà per i singoli beni. (….) Per quanto riguarda la fotografia, c’è la possibilità di associare la fotografia ad un token, e chiunque possieda questo token possiede quella fotografia. La gente può guardarla e scaricarla ma c’è un unico proprietario, afferma Dinch”.  Il fotografo Bryan Minear, nello stesso articolo, ragiona su quello che il pubblico considera importante. “sul mercato degli NFT ho venduto in tre ore il doppio di quello che avevo incassato vendendo edizioni a tiratura limitata delle mie stampe negli ultimi 4 anni. Avevo provato di tutto, stampe firmate a tiratura limitata, downolads illimitati, ma niente aveva veramente catturato l’attenzione del pubblico. (….)”

schema tradotto dall’originale di Max Foster, nell’articolo su https://www.diyphotography.net/ citato nelle fonti.

Riporto l’ultima riflessione dal bellissimo articolo di Jason Farago sul New York Times : ” (…)Considero questo come il prossimo capitolo della storia dell’arte”, afferma Beeple, il cui vero nome è Mike Winkelmann. Probabilmente ha ragione, anche se forse sarebbe importante discutere su cosa dicano questi capitoli. Una coincidenza raccapricciante: l’artista digitale condivide il cognome con il fondatore della storia dell’arte, Johann Joachim Winckelmann, studioso dell’illuminismo tedesco che alla fine del settecento fu il primo a sistematizzare l’arte del passato. Il suo più importante contributo fu l’idea che le opere d’arte – una scultura, un quadro o un palazzo – non siano solo oggetti belli, ma prodotti del proprio tempo che esprimono, anche senza volerlo, qualcosa del luogo e della cultura da cui provengono. Ancora oggi è una verità sacrosanta e di sicuro si applica perfettamente alle immagini di Beeple di giganti nude con la faccia di Pikachu. È la sua cultura, arretrata ma trionfante, dove i divertimenti puerili non possono essere mai messi in discussione e dove i Simpson hanno scalzato gli dei”.(traduzione in Internazionale 1401 del 19 marzo)

Screenshot di “dj jazzy jeff.” di Beeple (15 luglio 2010), dal sito dell’artista (https://www.beeple-crap.com/everydays).

fonti: New York Times, Christie’s, Open Sea, Diyphotography, Arttribune, Wired, La Stampa, Digitalcamera, ArtNet.

I colori del 2021

La scelta della combinazione dei colori (la “palette”, cioè la tavolozza) è un momento fondamentale di qualsiasi progetto visivo (che riguardi grafica, moda, fotografia, cinematografia, arredamento). Nel nostro lavoro di fotografi di interni ci rendiamo conto di quanto la scelta e l’abbinamento dei colori stabilisca il carattere, la personalità di un ambiente. Ad esempio nel living room qui sotto, gli unici elementi di colore deciso inseriti dal progettista (l’architetto Antonella Laruccia) sono il tappeto e la poltroncina, che creano una tensione tra di loro, circondati da elementi neutri (pareti bianche) o con colori tenui (parquet).

Arch. Antonella Laruccia – ristrutturazione casa a schiera AB – (foto A. e R. Tartaglione 2015)

il tema colore della foto evidenzia i due poli cromatici dell’immagine (giallo e rosso ruggine). Ho utilizzato il sito gratuito: https://color.adobe.com/ che consente di estrarre “temi” e “sfumature” dalle immagini, per studiarne la composizione o o ricavarne colori utili alla progettazione grafica.

C’è chi studia in anticipo quelli che potrebbero essere i colori “tendenza” per i prossimi mesi. Sempre restando in ambito di progettazione di ambienti il sito di compravendita immobiliare statunitense Realtor propone, in un articolo di J. Kelly Geddes, quelli che potrebbero essere i colori per quest’anno, riferendosi non a tinte astratte ma a pitture e vernici ai principali prodotte dalle principali aziende del paese

un ambiente che mi è piaciuto molto, proposto da J. Kelly Geddes, utilizza la tinta Aegean Teal (si potrebbe tradurre con acquamarina dell’Egeo o blu-verde alzavola) del produttore Benjamin Moore. Adatta agli inverni da trascorrere lock-down, suggerisce l’autrice. (foto dal sito Realtor)

la tinta Aegean Teal proposta dal produttore Benjamin Moore – https://www.benjaminmoore.com/

un tavola relative alle sfumature dell’azzurro fino all’azzurro verde

C’è anche chi si limita ad una analisi statistica come nello studio pubblicato da Shutterstock , che ha elaborato una statistica dei colori predominanti nelle foto scaricate dagli utenti, per ricavarne previsioni per il futuro. “I colori sono così importanti per ogni nostra esperienza. Anche quando non si notano ci sono, dando forma ad uno spazio oppure completando un progetto visivo aggiungendo note di freddezza o di calore, rendendo la visione scura o luminosa, aggiungendo contrasto o cercando le somiglianze. Il potere dei colori viene dall’emozione, da come pensiamo e come ci sentiamo quando li vediamo . Significati che derivano dalla nostra storia si aggiungono a reazioni che sono radicate profondamente nel nostro essere biologico, per creare una storia dei colori che sostanziano il nostro mondo visivo. (…) Analizzando i dati dei codici HEX di ogni singolo pixel siamo in grado di vedere le sfumature destinate a dominare l’anno che sta arrivando” (dalla presentazione dello studio)

il colore “champagne per salpare” (#FAEBD7), presentato come uno dei colori di tendenza per il 2021 (foto dal sito Shutterstock)

lo stesso colore sul sito color-hex.com (https://www.color-hex.com/color/faebd7)

Mi sono trovato in questi giorni a ragionare sul colore impaginando il  il nostro progetto editoriale “Winter Rites”. Qui sotto un esempio di doppia pagina dove sono rappresentate due maschere del Carnevale di Tricarico, a sinistra con fondo bianco a desta con fondino. Variando il colore dello fondino si vivacizza l’impaginazione, interrompendo la sequenza delle pagine bianche.

una foto con fondino colorato (a destra) ricavato dai colori del costume (foto A. e R. Tartaglione dal progetto “Winter Rites”)

Differenza e ripetizione

un post dal feed di @insta_repeat

Esplorando Instagram mi sono imbattuto nel bel lavoro fatto da Emma Agnes con il suo @insta_repeat, dove mette insieme varie immagini reperite sulla piattaforma, accostate per la loro affinità formale. La ripetizione di schemi iconografici è sempre esistita nella storia delle immagini, anche perche i “temi” sono in fondo limitati rispetto alle infinite possibilità della loro interpretazione.

un altro post dal feed di @insta_repeat

ogni post riporta i nomi degli account originali degli autori

Quando poi la velocità di creazione  cresce vertiginosamente, insieme  alla possibilità di confrontarsi in tempo reale con milioni di immagini, il fenomeno della ripetizione si accentua. Ho parlato prima di “temi” fotografici, intendo i pretesti o le occasioni che le persone trovano quando fotografano per divertimento, come fanno tantissimi utenti di Instagram (tra cui io). A volte ovviamente è la location che detta le analogia di inquadrature, altre volte è una tendenza del momento o l’influenza di un autore famoso. Il primo autore che mi è venuto in mente vedendo il feed di @insta_repeat è stato quello di Gilles Deleuze, che con il suo “Differenza e Ripetizione” (testo più citato che letto) ha accompagnato la mia generazione che alla fine degli anni ’70 cercava di allontanarsi (in tutti i sensi) da casa. A questo testo di Deleuze è spesso associato, in rete, una immagine di Jan Köpper. L’artista ha dedicato molte sue opere (principalmente installazioni) al tema della ripetizione.  “Il (mio) lavoro è il risultato di un intenso studio nel processo inconscio della ripetizione; una forza che che influisce sulle fondamenta stessa della nostra società, a cui la cultura o occidentale risponde con una ricerca senza fine dell’originalità” (Jan Köpper )

Jan Köpper Repetition 234

La questione principale che si pone è forse il consumo velocissimo di qualsiasi ricerca originale, soggetta alla implacabile facilità della copia. Diventa possibile imitare in maniera superficiale qualsiasi percorso fotografico, senza sottoporsi alla “fatica” della ricerca. A volte tuttavia la ripetizione è dovuta solo al caso, alla convergenza casuale di ricerche fotografiche che toccano gli stessi luoghi, magari anche in tempi ravvicinati. Faccio un esempio. Ci è capitato di andare a Santa Maria d’Irsi (nei pressi di Irsina MT, un luogo certo non molto frequentato) nel settembre del 2017, e scoprire casualmente che pochi mesi prima una équipe del Places Journal, di cui faceva parte il fotografo Steven Seidenberg, era stata proprio nello stesso borgo. Me ne sono accorto solo qualche giorno fa, approfondendo il tema della riforma fondiaria in Puglia e Basilicata. Sotto trovate due foto a confronto

https://fotografiainpuglia.org/2020/05/29/una-riforma-fallita/

Dal nostro blog “Fotografia in Puglia”, Villaggio di Santa Maria d’Irsi (Irsina – MT) – settembre 2017

Steven Seidenberg – Riforma 23  (Santa Maria d’Irsi – Irsina MT) giugno 2017

Ovviamente, insieme alla ovvia “ripetizione” del luogo dove è avvenuta la ripresa, si possono notare tutta una serie di “differenze”, come la temperatura colore applicata al Raw, il taglio, i piccoli spostamenti di oggetti avvenuti nella stanza. Mi ha fatto piacere pensare di avere avuto un contatto “ravvicinato” con un altro fotografo  che stimo tantissimo per la sua ricerca sul nostro territorio.

Fonti

Gilles Deleuze, Difference et Ripetition, Puf, Paris, 1977 (prima edizione 1968)

https://www.instagram.com/insta_repeat/?hl=it

http://farkyaralari.blogspot.com/2008/02/deleuze-difference-and-repetition.html

http://jankoepper.de/repetition/

https://thedrd.wordpress.com/2009/09/19/jan-ko%CC%88ppers-beautiful-repetitive-videos/

Carolyn L. White, Steven Seidenberg, and Myles McCallum, “Disaster for the People, Bonanza for the State,” Places Journal, September 2019. Accessed 02 Jun 2020. https://doi.org/10.22269/190903

 

 

Meero e l’intelligenza artificiale

Una rappresentazione della cecità. Taranto (TA), Cappellone di san Cataldo in Cattedrale. Affreschi di Paolo de Matteis 1714 sulla volta e sul tamburo, raffiguranti la vita del Santo

Una rappresentazione della cecità. (particolare da un affresco di Paolo de Matteis del 1714. Taranto TA, Cappellone di San Cataldo). Foto di A. e R. Tartaglione 2018.

“Meero è un gioco di parole, in gergo vuol dire essere cieco…”

Siamo stati contattati di recente dalla piattaforma francese Meero, che quest’anno ha raccolto circa 230 milioni di dollari di capitalizzazione in borsa. Non sappiamo se questo nuovo modo di intendere l’offerta di servizi fotografici possa essere di aiuto alla nostra professione oppure sia l’affossamento definitivo della sua specificità così come è stata intesa fino ad oggi. Per il momento ho deciso di non iscrivermi alla piattaforma, per due motivi principali: non c’è un rapporto diretto con il cliente finale e non c’è la possibilità di editare le proprie foto. Infatti il rapporto prevede che si consegni direttamente il file raw e poi la piattaforma provvede ad elaborare il file da consegnare. Al di là degli aspetti economici, dunque, per me il problema principale è il rapporto con il proprio lavoro e con l’utente finale delle foto (il “Cliente”). L’idea di avere a che fare con una piattaforma che gestisca i miei appuntamenti e la postproduzione delle mie immagini, per di più a prezzi talmente bassi che, per essere remunerativi dovrebbero essere “esentasse“, mi è sembrata impraticabile. Un sito spiega la filosofia della piattaforma in maniera esplicita (e forse un pò brutale): “Nella maggior parte dei casi per un servizio fotografico di un’ora, il fotografo passa 4 ore a casa a fare l’editing. Una preoccupazione che ora questo team non ha più perchè è riuscito a materializzare l’editing di immagini per definire ciò che è bello e ciò che non lo è e, in ultima analisi, rielaborare in pochi secondi ciò che richiede ore a chiunque. Gli algoritmi di machine learning consentono una consegna accelerata, un’elevata scalabilità e una qualità standardizzata, aiutando così le aziende a vendere di più con fotografie realistiche e stimolanti. Il team utilizza questa tecnologia per offrire i suoi servizi attraverso una rete di fotografi internazionali in oltre cento paesi a grandi player come Airbnb, Just Eat, Expedia, Trivago, Uber, ecc.” (fonte Scambieuropei.info ). Per confondere ancora di più le acque la piattaforma ha appena lanciato una rivista on-line, Blind, che incoraggia la ricerca fotografica creativa, ed invita a sottoporre il proprio portfolio.

Ho trovato interessantissima una intervista al co-fondatore di Meero, Thomas Rebaud, realizzata dalla rivista on line 9 lives Magazine, seguita poi da altri approfondimenti nei numeri successivi. Traduco qualche brano dell’intervista rimandando alla lettura delle rivista per un quadro completo. Nota l’autrice dell’intervista, Ericka Weidmann: “Grazie all’intelligenza artificiale che si incarica della post-produzione delle immagini, la piattaforma, che si occupa anche della fatturazione, permette ai fotografi di ridurre considerevolmente il tempo di lavoro. Come dice il proverbio: “il tempo è danaro” ! Meero trova dei clienti in zona, i fotografi devono soltanto effettuare la ripresa ed inviare i files RAW. Sono pagati entro 15 giorni, senza doversi preoccupare di altro !”

“9lives – La fotografia è un settore dove si fanno soldi ?

Thomas Rebaud – abbiamo commissionato alcuni studi di mercato da cui emergeva come il mercato globale della fotografia, a livello mondiale, arriva ad un valore di 80 miliardi di euro. (…) nel 2016 ho fondato Meero, con Guillaume Lestrade. Meero è un gioco di parole, in gergo vuol dire essere cieco, (..) abbiamo utilizzato 2 e per renderlo più “internazionale”.

9 lives – a chi si rivolge Meero ? fotografo amatore, appassionato o professionista ?

Thomas Rebaud – Deve essere qualcuno capace di lavorare su commissione, e che abbia un numero di partita IVA. Ci sono ovviamente dei fotografi che non rientrano nel nostro campo perchè sono molto costosi in quanto hanno un approccio artistico. Noi lavoriamo con tutti quelli che hanno difficoltà a trovare clienti e che fanno fatica ad ottenere una remunerazione adeguata. Abbiamo incontrato l’ UPP (sindacato nazionale dei fotografi professionisti NDR) che ci ha comunicato che ogni anno circa 4.000 persone escono dalle scuole o da altri percorsi di formazione in fotografia, ma solo 50 riescono a vivere da questo lavoro. A noi dunque interessano gli altri 3.950 ! (…)

9 Lives – appunto, qual’è il compenso dei fotografi ?

Thomas Rebaud – (…) è importante considerare il tempo di lavoro. Un fotografo non deve dire che è pagato 50,00 € per un servizio di fotografia immobiliare mentre prima lo fatturava a 120,00 €; deve considerare che è pagato 50,00 € per 45 minuti di lavoro mentre prima fatturava 120,00 € per almeno 2 1/2 di lavoro. (…). Qui in Francia un réportage di 15-12 foto viene retribuito in media sui 35,00 €, il prezzo di vendita sul sito è di 89,00 € al netto delle imposte, ma c’è sempre un minimo di trattativa, in generale viene venduto tra i 72,00 € ed i 78,00 €; con tutte le nostre spese, la gestione dei clienti, la tecnologia, gli uffici, i salari del personale ecc. noi in pratica ci rimettiamo su ogni transazione. “

fonti: abbiamo tratto molte notizie dal magazine francese 9lives, ecco i links:  2 settembre, 17 settembre, 9 settembre, 2 dicembre. Questo è l’invito alla presentazione dei portfolios, apparso il 28 dicembre su Blind.

 

Bianco nero da Oscar

“Roma”, regia Alfonso Cuaron, Direzione di Fotografia Alfonso Cuaron, formato 2,35 : 1, Messico – USA 2018

Roma di Alfonso Cuaron e Cold War di Pawel Pawlikowski; due film girati in bianco e nero, visti a pochi giorni di distanza l’uno dall’altro, un mese fa… adesso si è appena conclusa la notte degli Oscar e uno dei due (Roma) ha vinto la statuetta per la fotografia: mi è venuto spontaneo fare qualche riflessione sui due approcci visivi completamente diversi. Entrambi i films sono stati girati praticamente con lo stesso strumento, una “cinepresa digitale”, della Arriflex (Alexa 65 per Roma, Alexa XT per Cold War) sfruttando le potenzialità del formato raw sviluppato da Arriflex (Arriraw). La potenzialità mimetica del digitale è enorme, può essere plasmato dal direttore di fotografia (o dal fotografo) in maniera davvero personale.

“Roma”, regia Alfonso Cuaron, Direzione di Fotografia Alfonso Cuaron, formato 2,35 : 1, Messico – USA 2018

E’ abbastanza evidente, anche solo confrontando qualche fotogramma dei due films, la diversità di approccio dei due autori della fotografia. Cuaron (che si è trovato a dover curare direttamente la fotografia a causa dell’indisponibilità del suo storico direttore  Chivo Lubezki), in una bella intervista ad IndieWire, afferma: “C’è una tendenza ad usare il digitale per creare un look da pellicola, ed anche io ho usato in passato questo approccio; ma in questo film non volevamo emulare la pellicola bensì sfruttare pienamente il digitale, la sua sorprendente gamma tonale, la risoluzione, la sua resa nitida e senza grana, non volevamo “scusarci” del fatto che usavamo il mezzo digitale … in più abbiamo avuto la possibilità di montare digitalmente le immagini ed avere questi magnifici  sfondi con una combinazione di grandangolo e diaframma chiuso (quindi massima profondità di campo ndr), più simile a quello che vedono i nostri occhi.”

D’altro canto , autore della fotografia di Cold War, afferma, in una colloquio pubblicato su AFCinema ” naturalmente avrei voluto inizialmente girare su pellicola, ma una delle ragioni per cui abbiamo cercato una alternativa era la limitazione del budget. (…) E’ stato chiaro ad un certo punto che avremmo dovuto girare il film con la Alexa. Abbiamo deciso di vedere quanto potevamo avvicinarci al nostro ideale che era il 35mm, così abbiamo realizzato dei test comparando il girato di una cinepresa 35mm con quello della Alexa XT, usando gli stessi obbiettivi, lo stesso set e la stessa illuminazione. (…). Dopo aver sviluppato e scansionato la pellicola Kodak 5219 abbiamo lavorato sulla resa tonale e sul contrasto insieme al colorista Michal Herman finchè non abbiamo trovato un look soddisfacente. A quel punto abbiamo deciso di trovare un equivalente per il materiale girato sulla Alexa, fino a padroneggiare a tal punto la resa da non riuscire più a distinguerli l’uno dall’altro. (…) alla fine il risultato è stata un’immagine che trovo molto ricca, che ha il look della pellicola, ma maggiore dettaglio, specialmente nei neri.”

“Cold War” , regia Pawel Pawlikowski, Direzione di Fotografia Łukasz Żal, formato 1,37×1- Polonia, Francia, Gran Bretagna 2018

altri spunti per approfondimenti: afc e famesyn.

I diritti dell’autore

Le foto che si trovano su internet sono liberamente a nostra disposizione oppure devo chiedere il permesso dell’autore per poterla ripubblicare ? Una domanda che certo fa sorridere (le foto sono là, perché non dovrei scaricarle ?), ma una recente sentenza della Corte Europea, che va  in direzione contraria, diventerà forse un precedente per tante altre controversie analoghe.

Un classico caso di “taglio della filigrana” (e non solo) e pubblicazione anonima… quello che dispiace non è tanto la ripubblicazione quanto la negazione della paternità. (foto A. e R. Tartaglione)

Cerco di riassumere questa vicenda molto interessante che ha avuto luogo in Germania. Il caso riguarda il fotografo tedesco Dirk Renckhoff che ha intentato una causa legale nei confronti del Land Nord Renania – Vestfalia quale responsabile dell’istruzione scolastica (caso C-161/17) (fonti: statigenerali e qui). Il fatto: una studentessa liceale  ha utilizzato una foto di Renckhoff, pubblicata (con il suo consenso) su un sito di viaggi, senza chiederne l’autorizzazione all’autore, (cosa per altro impossibile perché il nome non figurava sul sito) per una ricerca scolastica sulla città di Cordoba. La stessa foto è stata poi caricata sul server della scuola e pubblicata sul suo sito web. Il tribunale tedesco si è rivolto per un consulto alla Corte di Giustizia Europea che ha dato ragione al fotografo stabilendo che anche se la fotografia è messa on-line con il consenso dell’autore non per questo l’autore stesso perde il diritto alla proprietà intellettuale. Il fotografo ha chiesto la rimozione della foto dal sito della scuola e danni per € 400,00.

… a volte nella ripubblicazione, nonostante la buona volontà, i nomi vengono stravolti … le foto sono sempre nostre e Nicola Tartaglione non è un parente !! (foto A. e R. Tartaglione)

Il quesito che il tribunale tedesco ha posto alla Corte Europea: «Se l’inserimento in un proprio sito Internet accessibile al pubblico di un’opera, liberamente disponibile su un sito Internet di terzi per tutti gli internauti con l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, costituisca una messa a disposizione del pubblico ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1, della direttiva 2001/29/CE, qualora l’opera venga prima copiata su un server e poi caricata sul proprio sito Internet» (dal sito civile.it). La risposta è stata appunto favorevole al titolare del diritto d’autore: “I giudici europei hanno statuito che per la nuova pubblicazione su una pagina web diversa da quella originale occorre un nuovo consenso dell’autore” (dal sito statigenerali.com). Al di là della freddezza del linguaggio legale (e forse la difficoltà della traduzione) mi sembra di scorgere un riconoscimento della proprietà intellettuale e della paternità dell’opera, che non può che farci piacere. Ogni fotografo professionista potrebbe raccontare aneddoti a tale proposito. Per quanto ci riguarda mi limito a rammentare una telefonata (non molto tempo fa) di qualcuno che lamentava che la nostra foto, scaricata dal web, fosse di risoluzione troppo bassa per poterne ricavare una gigantografia !

Segnali dal futuro

1974 Willard S. Boyle, left, and George E. Smith in posa nei laboratori Bell con un prototipo di macchina fotografica dotata di sensore CCD da loro inventato (Lucent Technologies Bell Labs) http://uk.businessinsider.com/digital-photography-revolution-2015-4?IR=T

L’oggetto fotografia sembra destinato ad essere continuamente messo in discussione e cambiare la sua stessa ragione di essere. Leggendo in questi giorni alcuni post su immagini generate da computer in maniera autonoma mi sono venuti in mente i primi documenti sulla digitalizzazione delle immagini da me consultati nel lontano 1981 per la tesi di laurea (“L’immagine post-moderna”). Erano abbastanza difficili da leggere e da inquadrare in una prospettiva futura, però nel giro di di venti anni quegli schemi astrusi e quei “papers” accademici hanno permesso la rivoluzione digitale che tutti conosciamo.

Consideriamo un paio di questi segnali dal futuro. In occasione della prossima Conferenza di Vancouver sull’apprendimento saranno presentati i progressi ottenuti nella generazione di immagini mediane il GAN (Generative Adversioral Network), un sistema composto da due reti neurali opposte l’una all’altra (una generatrice – alimentata in questo caso da un archivio di immagini fotografiche di celebrità – e l’altra – discriminante – che analizza i risultati e respinge o accetta le immagini). Queste due reti neurali mediante un continuo feedback reciproco riescono a costruire una immagine abbastanza realistica di una persona che in realtà non esiste. Qui sotto si può vedere un processo di costruzione di un volto femminile. Il risultato, dopo 18 giorni, è in basso a destra. Per il momento il processo è molto lento e complesso, l’immagine ha solo 1024 pixels per lato ma sicuramente lascia intravedere sviluppi futuri molto interessanti.

Un secondo segnale dal futuro, strettamente collegato al primo, è una ricerca dell’Università dell’Indiana (USA) sull’attività cerebrale durante la visione di immagini. Studiando la mappatura (mediante risonanza magnetica) dei flussi sanguigni del cervello ed utilizzando un algoritmo appositamente creato è stato possibile creare un processo di “deep learning” che consente al sistema di “capire” e riprodurre, anche se in maniera per ora abbastanza approssimativa, le immagini che una persona sta guardando basandosi sulla sua attività cerebrale. In questa illustrazione in basso potete vedere, nella fila in alto, le immagini che i volontari stavano guardando, nelle 2 file in basso le ricostruzioni digitali delle stesse immagini basata solo sulla attività cerebrale degli osservatori. Cosa si intravede ? La possibilità di creare immagini partendo direttamente dalla nostra attività cerebrale, bypassando ogni altra intermediazione. “3.01 La totalità dei pensieri veri è un’immagine del mondo.” (L. Wittgenstein, Tractatus logico-philosophicus, 1918)

Incurante di questi scenari fantascientifici  la Kodak,  “in controtendenza”,  annuncia la creazione di una “criptovaluta” fotografica, il Kodakcoin, con un processo che consente di seguire per sempre il percorso delle immagini, permettendo agli autori un controllo totale sulla vendita e l’utilizzo delle loro immagini. Questo dovrebbe avvenire mediante la tecnologia “blockchain”, la stessa che ha permesso una recentissima innovazione nel settore finanziario, la criptovaluta (come il famoso bitcoin). Per il momento l’annuncio ha interessato più gli investitori finanziari che i fotografi. Probabilmente l’offerta di foto in rete è talmente smisurata che non si vede perchè qualcuno dovrebbe utilizzare proprio quelle protette dal blockchain.

fonte principale: articolo di Paul Melcher sul Magazine KAPTUR 

per la criptovaluta fotografica, interessante il post pubblicato dal sito AGI: “Anche Kodak apre alla blockchain. Userà la tecnologia nata con bitcoin e battezzerà una propria criptovaluta (KodakCoin) per permettere ai fotografi di scambiare denaro e gestire i diritti delle proprie immagini. Come già successo in altri casi, è bastato pronunciare la parola “blockchain” per far decollare la società in borsa. Il titolo di Kodak, da mesi sonnolento e senza scossoni, ha fatto un balzo del 45% e, a meno di due ore dall’annuncio, viaggia con un progresso superiore al 35%. Kodak, un tempo sinonimo di pellicola, dopo aver sfiorato la bancarotta nel 2013 si è convertita alla fotografia digitale. Non è la prima volta che l’attrattività della blockchain moltiplichi i valori di borsa. A ottobre l’incubatore On-line Plc si è ribattezzato On-line Blockchain Plc e le sue azioni sono passate in poche ore da 16 a 80 sterline. E a dicembre, il titolo di un produttore di bevande (la Long Island Iced Tea Corp) è schizzato del 503% quando ha deciso di trasformarsi in Long Blockchain “

Un vigneto lontano

Un vigneto della cantina Terredora di Paolo, a Pietradefusi (AV), fotografato all’alba, qualche anno fa.

La fotografia di paesaggio è probabilmente tra i generi più ingrati: è faticosa, regala raramente immagini spettacolari ed ancora meno rientra nei budget di tante operazioni di promozioni turistiche o economiche che (paradossalmente) hanno come punto di forza proprio il territorio. L’utilizzo delle foto di Banche Immagini mondiali è diffuso in tutti i settori della comunicazione visiva, per motivi sia economici che di velocità.  Sono immensi database (il più grande è ora cinese, avete mai sentito parlare di VSG ?) che però raramente entrano nello specifico della foto di paesaggio locale, (ad esempio per l’Italia Meridionale), al di fuori delle “cartoline” o delle “vedute” più gettonate. Il paesaggio, specialmente quello agricolo, è estremamente specifico (quel vigneto, che magari ha un suo nome e produce quel vino, e non un altro; quell’oliveto e non un altro ecc.), fotografarlo (bene) richiede tempo e sforzo, magari scegliendo momenti e stagioni adatti. Non sono foto che si improvvisano. La foto di una vigna di aglianico in Irpinia non può essere sostituita da una “generica vigna” come accade nelle immagini stereotipate utilizzate spesso nella comunicazione (la ragazza che sorride, la coppia di anziani che si abbracciano, la stretta di mano tra due uomini in giacca e cravatta, il sorriso sdentato di una bimba con le lentiggini e così via). I territori sono tutti “belli”, ma non allo stesso modo. La Puglia, ad esempio, è prevalentemente piatta o con piccoli rilievi collinari. Se nel nostro immaginario ci sono le Langhe, le colline del Chianti (o la Napa Valley) ecc. saremo portati a pensare il nostro territorio come piatto e meno interessante rispetto a quei modelli. Mi ha colpito ma non sorpreso perciò la figuraccia fatta dalla Regione Puglia in occasione sia della Fiera di Dusseldorf che del Vinitaly. Per pubblicizzare i vini pugliesi sono state utilizzate immagini provenienti dal Cile e dalla California. Probabilmente l’agenzia incaricata della progettazione ha avuto poco tempo per la ricerca, oppure, come si dice spesso in questi casi, “non c’era il budget”. Fatto sta che cercando in Shutterstock tra le foto di vigneti, la foto incriminata (vedi sotto) compare nella prima pagina; è stata dunque una ricerca abbastanza rapida. Pazienza se sotto compare la scritta “Wine Wineyard family farm Chile”

La foto dell’Archivo Shutterstock. Nel riquadro la porzione utilizzata per la promozione della Regione Puglia alla Fiera Di Dusseldorf che precede di poco il Vinitaly

Si potrebbe anche dire: dove si possono reperire foto di questo genere se non in una banca immagini? E’ vero, sono foto che non si possono realizzare al momento, devono già essere pronte. Ma non necessariamente in un banca immagini mondiale. Bisogna ricominciare a pensare alla fotografia di territorio in termini di archivio, inteso non come semplice database online ma come progetto ordinato di creazione e conservazione di immagini. Può essere creato da un fotografo, da un’azienda o da un ente pubblico.

Per ulteriori informazioni sulla vicenda del “vigneto cileno”riporto un estratto dall’articolo di Carlo Testa sul Corriere del Mezzogiorno del 17/04/2017: “Un tramonto mozzafiato su una vigna ordinata. Sullo sfondo, rilievi dolci pieni di boschi e una luce che riscalda il cuore. L’immagine, con il claim: “Il Sapore in tutti i colori della Puglia” e tanto di logo istituzionale, campeggia all’ingresso del padiglione 11 del Vinitaly, la più importante fiera italiana dedicata al vino. Peccato però che la foto è stata acquistata da un database di foto online, Shutterstock, e non rappresenta assolutamente la Puglia, nè un’altra regione italiana, bensì una campagna nei pressi di Santiago del Cile (qui il link per verificare personalmente). La figuraccia è stata scoperta da una rivista del settore, WineNews, che ha raccontato la vicenda due giorni fa, ripresa poi da Repubblica e Gazzetta. L’assessore regionale all’agricoltura e UnionCamere si rimpallano la responsabilità, ma chi conosce appena come funzionano queste cose, sa benissimo che nessuna grafica può uscire senza il consenso di un responsabile. A questo responsabile, c’è da dire, non è dato fare una ricerca inversa per immagini, ma essendosi affidato ad un’agenzia di comunicazione, si dovrebbe dare per scontato che i professionisti pagati svolgano il loro lavoro in maniera leale verso il committente (chi sa parli, magari c’è una spiegazione a questo pasticcio). Il danno rimane perché dopo aver impiegato anni per uscir fuori dal ruolo di regione capitale di contrabbando, orecchiette e pizzica pizzica, risalendo passo dopo passo la china, tutto sembra precipitare in un vortice di figuracce, come lo spot per il Parco Delle Dune Costiere, copiato interamente da un video svizzero (qui l’articolo).” (…)

Fotografia e lavoro

 

ILVA (Taranto TA) – Laminatura a caldo 1994

Elfim (Gravina di Puglia BA) operatore al lavoro su una macchina a laser Trumpf (servizio per il Brand Magazine “Laser Community”) 2016

Ci ha fatto molto piacere leggere il recente articolo di Michele Smargiassi che in occasione il 1 maggio ha ricordavo il lavoro del MAST di Bologna, “forse l’unica istituzione al mondo dedicata ad un genere industriale che ha seguito le sorti del suo oggetto, la civiltà industriale, la forma storica più travolgente e transeunte dell’eterno lavoro dell’uomo” (Repubblica 1 maggio 2017). Nel Museo (che organizza anche una interessante biennale) hanno trovato posto fotografie che allargano il discorso oltre la fotografia “specialistica”. Infatti, seguendo il ragionamento di Smargiassi, alla fotografia strettamente “dell’industria” (prodotta su committenza per documentazione, ideologia, propaganda) si è sovrapposta una fotografia che vuole essere uno “sguardo analitico sul sistema industriale e post-industriale, che è come dire sul mondo contemporaneo”.

La cosiddetta fotografia industriale – in questo caso intendo proprio strettamente “dell’industria” , nel doppio significato di commissionata dall’azienda e che documenta i processi produttivi industriali- era uno dei settori principali di specializzazione nell’ambito della  fotografia professionale, anche perchè presentava notevoli difficoltà tecniche. Anche se era una fotografia “di servizio” ha sempre avuto il merito, secondo noi, di dare un volto e quindi una dignità al lavoro, rendendo visibili luoghi, situazioni, processi produttivi che spesso non si vedono e neanche si immaginano. Poi forse la voglia di raccontarsi è venuta meno, anche perchè molte produzioni sono state spostate fuori dall’Italia. L’apparente facilità di creare ed inviare immagini ha fatto sì che questo genere di fotografia fosse sempre meno richiesto. Ma, nostro avviso, anche se si parla continuamente di virtuale, non tutto è dematerializzato o delocalizzato: c’è ancora chi si confronta ogni giorno con la “realtà rugosa” e vale la pena raccontarlo.

Un meccanico delle Officine Spolzino ad Athena Lucana (PZ) fotografato per il brand magazine “Legend” della Scania (2014)

ILVA (Taranto TA), operai del II turno, altoforno 3, 1994

Quello che non si vede

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Paris Photo 2016 durante il primo giorno di apertura.

Foto di Armin Linke – Institute for Quantum Optics and Quantum Information IQOQI, Innsbruck, Austria, 2015 – © Armin Linke

Sono riuscito a visitare nello scorso novembre, a pochi giorni di distanza, Paris Photo 2016 (*) e la mostra (L’apparenza di ciò che non si vede) di Armin Linke al PAC di Milano. E’ stata una utile occasione per confrontare due modalità diverse di intendere l’atto fotografico. A Parigi sono stato immerso immerso per qualche ora in un ambiente dove si raccoglieva in poco spazio una selezione delle opere dei fotografi più presenti nel collezionismo mondiale. Ogni galleria promuove una serie di artisti che mediante la quotazione della loro produzione consentono a loro volta la vita delle gallerie e di tutto il mondo che ruota intorno al fenomeno del collezionismo. I meccanismi che determinano il “successo” o il “prezzo” di un fotografo diventato “Autore” nel mondo del collezionismo sono spesso complessi e difficili da comprendere se visti dal di fuori. Non avendo nessuna velleità di acquistare ho potuto godermi la visita ed abbandonarmi a qualche colpo di fulmine, anche perché la possibilità di osservare da vicino stampe fotografiche di qualità eccezionale è difficilmente sostituibile con altri tipi di esperienza.

A Milano è stato possibile avere un’idea del paziente lavoro di Armin Linke, che da anni documenta le modifiche e le evoluzioni tecnologiche relative alle infrastrutture ed al mondo della produzione in generale. Si tratta per lo più di foto di interni, in stile documentario, con pochissima presenza umana, un tempo le avremmo definite “foto industriali” o “corporate”. Sono spesso documentati ambienti non facilmente visitabili (per esempio l’interno di un laboratorio di ricerca sui quanti in Austria) oppure normalmente fotografati in condizioni diverse (ad esempio la grande sala – vuota- della sede di New York delle Nazioni Unite).  Ho visto in questa mostra un grande riconoscimento al lavoro decennale di un fotografo che sento molto vicino, per interessi e modalità di lavoro. Il grande Archivio (oltre 20.000 foto) accumulato da Linke viaggiando in tutto il mondo per documentare cambiamenti tecnologici ed ambientali è stato studiato da vari curatori che hanno prodotto una selezione in base al proprio ambito di competenza. Le grandi stampe esposte creano percorsi di lettura affascinanti, accompagnate dalle voci dei curatori che presentano i propri ragionamenti. Siamo all’interno di una fotografia documentaria che ci informa e fa riflettere sui cambiamenti del mondo che ci circonda. Il valore di un Archivio Fotografico come questo non è certo monetizzabile: risiede nel suo tramettere, nel tempo, la testimonianza di un intellettuale quale certamente può essere considerato il fotografo. Come osserva Carlo Mazza Galanti (nel suo articolo sul Sole 24ore), con Linke la tradizione documentaria della scuola di Dusseldorf incontra la grande lezione di Ghirri. Non è escluso quindi che anche lui possa entrare nei prossimi anni nel giro del grande collezionismo mondiale, anche se ovviamente il mercato dell’arte privilegia l’opera singola o in piccole serie ed è molto meno interessato al corpo dell’Archivio in quanto tale.

Qualche “colpo di fulmine” dello scorso novembre

Jungjin Lee – Everglades #17, 2014-2015. © Jungjin Lee, courtesy of Galerie & Edition Stephan Witschi (Zurich) – vista a Paris Photo 2016 , Galleria Howard Greenberg (New York)

Per Bak Jensen – Twilight – Esposta nella Galleria BO BJERGGAARD di Kobenhawn (Paris Photo 2016)

 

Ezeiza Penitentiary, Buenos Aires, Argentina, 1999 – © Armin Linke

Armin Linke – Greenhouse – El Ejido Spain, 2013 (vista al PAC di Milano)

Armin Linke UNO, United Nations. Organization, conference room – Geneva, Switzerland, 2001 (vista al PAC di Milano)

*Ho tenuto una breve conversazione su Paris Photo 2016 grazie all’ospitalità della Scuola Camera Chiara di Bari, qui trovate le slides proiettate, riporto qui qualche link utile per chi non volesse scaricare il pdf: collectordailyartnet; artprice; Sothebys;

10 anni dopo

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Un collega aveva posizionato il suo banco ottico portatile per immortalare l’esplosione. Notare la selva di treppiedi sullo sfondo.

Domani, 23 aprile 2016, saranno passati dieci anni ma sembra un secolo. Stavamo faticosamente passando dalla pellicola al digitale, e ci capitò di fotografare una delle tre giornate durante le quali vennero abbattuti gli edifici di Punta Perotti, il 23 aprile 2006 (ore 09,32 circa). C’erano tantissimi fotografi ed operatori, la maggior parte aveva piantato il treppiede con la macchina già pronta, (messa a fuoco regolata, esposizione controllata ogni 5 minuti con scatto di prova), perchè una volta partito il segnale della sirena (tre fischi lunghi) non ci sarebbe stato molto tempo. La posizione era obbligata per tutti, per motivi di sicurezza. Poca interpretazione, quella volta, ma molta eccitazione per l’occasione irripetibile,

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La sequenza qui sopra è stata resa possibile dalla prontezza di riflessi di Roberto. Infatti la sirena non venne azionata (o almeno nessuno di noi la sentì) per cui solo con l’arrivo del suono dell’esplosione (che precedette il fumo ed il crollo) ci rendemmo conto che “era già successo”.

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Il parcheggio di Punta Perotti il 20 aprile 2016 alle 09,30, più o meno dal punto dove furono posizionati i fotografi che documentarono l’abbattimento 10 anni fa.

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Michele Emiliano (allora Sindaco di Bari) si lascia intervistare poco prima dell’abbattimento.

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Punta Perotti, al tramonto del 31 maggio 2015, durante la “Festa dei Popoli”

CRONOLOGIA (da Wikipedia)

  • marzo 1997: la Procura di Bari ordina la confisca dell’edificio
  • novembre 1997: la Corte di Cassazione accettando il ricorso dei costruttori dispone il dissequestro dell’edificio
  • febbraio 1999: la giudice Maria Mitola dichiara la costruzione abusiva quindi ordina nuovamente confisca
  • giugno 2000: la Corte di Appello di Bari revoca il provvedimento di confisca
  • ottobre 2000: il Procuratore Generale presso la Corte d’Appello ricorre per Cassazione contro la sentenza di appello
  • gennaio 2001: la Cassazione dispone il ripristino della confisca e i costruttori annunciano azione legale per richiesta di risarcimento dei danni
  • febbraio 2001: il sindaco di Bari riceve dalla Procura della Repubblica la sentenza della Corte di Cassazione
  • settembre 2002: le imprese costruttrici notificano a Comune di Bari, Regione Puglia e Soprintendenza ai beni ambientali e culturali di Bari una formale richiesta di risarcimento dei danni materiali e d’immagine
  • maggio 2004: i costruttori pignorano l’edificio
  • novembre 2004: iniziano colloqui tra amministratori comunali baresi e avvocati dei costruttori per trovare una soluzione concordata
  • ottobre 2005: il giudice di appello Di Lalla revoca l’ordinanza del giudice di esecuzione dichiarando pignorabile l’area su cui esistono i fabbricati e la possibilità di demolire dunque gli amministratori baresi annunciano la loro decisione di demolizione senza indire un referendum cittadino richiesto da molti partiti e associazioni
  • febbraio 2006: gli amministratori baresi annunciano le date di demolizione
  • aprile 2006: i fabbricati sono abbattuti con esplosivi
  • maggio 2006: inizia l’istruttoria sulle azioni di risarcimento promosse dai costruttori contro il Comune, Regione e Soprintendenza ai Beni artistici
  • gennaio 2009: secondo la Corte europea dei diritti dell’uomo la confisca è avvenuta in violazione del diritto della protezione della proprietà privata e della Convenzione dei diritti dell’uomo
  • novembre 2010: il giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Bari Antonio Lovecchio ha revocato la confisca dei suoli, su cui sorgevano gli edifici, restituendoli ai costruttori legittimi proprietari[11].
  • maggio 2012: sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo che condanna lo Stato italiano a pagare 49 milioni di euro alle imprese che costruirono Punta Perotti.[12]

Fotografare il moderno

A volte mi rendo conto che nel fotografare ad esempio i riti del Carnevale in Lucania oppure centri storici di paesini del Salento, vado alla ricerca, nell’inquadratura, di elementi che escludano la modernità in quanto “brutta”. Se invece partecipo ad un workshop del LAB sulle periferie urbane mi risulta molto più facile integrare gli elementi moderni nel mio discorso fotografco. Mi è venuto in mente un testo del “vecchio Marx” studiato per l’esame di Estetica tanti anni fa: “Che ne è di Vulcano di fronte a Roberts & C°, di Giove di fronte ai parafulmini e di Ermes di fronte al Crédit Mobilier?” (la citazione completa è più sotto). Ci sono due aspetti della questione:

1- è molto difficile includere e comporre elementi della modernità che risultano esteticamente irrisolvibili o almeno difficili da integrare: macchine parcheggiate in divieto di sosta in un centro storico (ad esempio davanti alla Cattedrale di Martina Franca), cavi elettrici, vestititi neri di materiali sintentici ecc. Certo esiste una fotografia di territorio che include il moderno (ad esempio le periferie urbane), ma difficilmente una rivista o un editore accetterebbe per un libro su Martina Franca l’inquadratura che vedete qui sotto.

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Una macchina parcheggiata in pieno centro storico, davanti la splendida facciata della Cattedrale di Martina Franca rende impossibile una inquadratura frontale della facciata che comprenda anche la piazza

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Dopo avere invano cercato il proprietario ed atteso per qualche tempo abbiamo variato l’inquadratura, escludendo l’automobile mediante un cambio di angolo ed un avvicinamento al monumento.

Nell’ambito di una ricerca sulle periferie urbane invece è perfettamente possibile invece pubblicare una foto del genere:

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In questo caso la presenza della macchina parcheggiata è stata a mio avviso risolta nell’inquadratura. La foto fa parte di una mia ricerca sul territorio di Polignano a Mare (BA) nel corso del Workshop “Southern #1” organizzato dal LAB

2 A volte la ricerca di elementi incontaminati deriva dalla acuta nostalgia per un mondo immaginato come migliore o quanto meno più vivibile. E’ difficile immaginare un incappucciato a Francavilla Fontana oppure una maschera Cornuta di Aliano di fronte all’insegna al neon di un Supermercato oppure un Bancomat. Ci sono migliaia di inquadrature possibili che non prendiamo neanche in considerazione forse perchè la ricerca di una inquadratura “pulita” rivela la nostra nostalgia per un mondo ormai scomparso e la tensione verso un diverso modo di vita.

Già nell’Ottocento Karl Marx poneva il problema, a proposito dell’arte greca: “La visione della natura e dei rapporti sociali che sta alla base della fantasia greca, e quindi della mitologia greca, è possibile con le filatrici automatiche, le ferrovie, le locomotive ed i telegrafi elettrici ? Che ne è di Vulcano di fronte a Roberts & C°, di Giove di fronte ai parafulmini e di Ermes di fronte al Crédit Mobilier? (….) Ma la difficoltà non è nel comprendere che l’arte e l’epica greca siano connesse a determinate forme dello sviluppo sociale. La difficoltà è (nel comprendere) come possano conservare per noi gusto d’arte e, in un certo senso, valere come norma e inarrivabile modello.» (K.Marx,  Grundrisse   der   Kritik   der   politischen  Ökonomie,   1939   (1858);   tr.   it. Lineamenti fondamentali di critica dell’economia politica, Einaudi, Torino 1976 a cura di Backhaus, 2 voll., I, p. 36.).

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Un altro esempio di difficile integrazione di elementi moderni nell’inquadratura. Di Alberobello, Patrimonio Mondiale dell’Umanità secondo l’Unesco, circolano migliaia di foto, quelle che escludono i cavi elettrici o i pali della luce sono poche oppure sono ritoccate.

Una fantastica giovinezza

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All’interno del Grand Palais di Parigi la mattina del 12 novembre 2015, prima giornata di Paris Photo

Nel corso di un incontro presso la Mediateca Regionale Pugliese che si è svolto il 10 dicembre 2015, ho avuto modo di conversare circa il mondo del collezionismo fotografico che si è ritrovato a Parigi a metà novembre per due importanti appuntamenti (Paris Photo e Fotofever). Il pdf completo con tutte le slides può essere scaricato qui. Penso sia utile proporre la traduzione di qualche passaggio di un interessante articolo  della AMA (Art Media Agency) pubblicato dal sito Private Art Investor in occasione dell’apertura di Paris Photo 2015 (12 novembre 2015).

“La fiammeggiante giovinezza del mercato fotografico

La fotografia, particolarmente in epoca digitale, si presta alla riproduzione ed alla pubblicazione in maniera molto più facile di qualsiasi altro medium, rendendola la forma d’arte più accessibile. Così la nozione di scarsità sembra essere assente e deve essere introdotta artificialmente (secondo la legge europea (?? ndr) una fotografia è una forma di arte se ne vengono prodotti meno di trenta esemplari). Se si aggiunge che la storia della fotografia è relativamente giovane, questa accessibilità ha reso il mercato fotografico meno prestigioso e meno significativo del mercato classico dell’arte. Ma alla vigilia della fiera più importante del mondo, Paris Photo, che si svolge tra il 12 ed il 15 novembre, il mercato della fotografia sta subendo profondi cambiamenti. Il mercato ha cominciato ad emergere negli anni 70, per la maggior parte si trattava di foto storiche in  bianco e nero. (…) E’ solo negli anni 90 che l’interesse del pubblico e dei collezionisti della fotografia cominciò a manifestarsi in maniera significativa. (…). Il 2005 ha segnato un punto di svolta con la prima asta milionaria di una fotografia (Richard Prince, Untitled (Cowboy) (1989), $1,248,000 in November 2005, at Christie’s, New York). 10 anni più tardi il mercato continua ad espandersi. Nel contesto attuale, cosa diventa la questione della accessibilità ? è ancora un ostacolo o potrebbe essere un valore ? E questa espansione non richiede anche un ripensamento dei confini, sia del mercato che del mezzo stesso ? Il mercato fotografico è ben lontano dal raggiungere i risultati delle arti plastiche come la pittura e la scultura. Però a partire dal 2010 ha avuto una rapida evoluzione, guidata da un piccolo gruppo di élite e dalle istituzioni, che gli hanno conferito una sempre maggiore credibilità. (…) A partire dal 2010 la sua espansione si è accelerata bruscamente, specialmente per quanto riguarda la fotografia contemporanea. Le fiere specializzate si moltiplicano, non solo in occidente: Fotofever (2011); Unseen Photo Fair (2012), Amsterdam; la Triennale Photography RAY (2012), in Francfort-sur-le-Main; Paris Photo LA (2013 ); Vienna Photo Book Festival (2013); Photo Independent (2014), Los Angeles; Photo Shanghai (2014); Photo London (2015); and Zona Maco Foto (2015) in Mexico City. (…). Ad un primo sguardo l’accessibilità legata alla riproducibilità – sin dalle origini – delle fotografie appare il maggior ostacolo allo sviluppo di un mercato di alto profilo, se paragonato a quello delle arti figurative (o plastiche). Tuttavia la legge definisce un opera d’arte mediante la limitazione del numero di copie, non mediante l’unicità dell’oggetto. “Un opera può essere originale senza essere unica” spiega Cécile Schall. La fondatrice e direttrice di Fotofever ricorda come le sculture riprodotte in molteplici esemplari da uno stampo non ispirano così tanta sfiducia da parte dei collezionisti. “La gente immagina la foto come qualcosa che può essere stampata quante volte si vuole, come ognuno può fare a casa. Ma una edizione limitata è un’opera originale in entrambi i casi.” Una catena di negozi come quelli di YellowKorner approfitta in maniera specifica della riproducibilità del medium per rendere il mercato sempre più democratico, cioè economicamente sostenibile. La catena è stata fondata nel 2006 da Alexander de Metz e Paul-Antoine Briat per aumentare il numero delle stampe fotografiche da vendere. Con più di 70 punti vendita nel mondo ed uno store on-line, YellowKorner vende, su vasta scala, opere di artisti contemporanei sia emergenti che affermati a fianco di grandi nomi della storia della fotografia. Cécile Schall lo vede come un fenomeno che deve essere preso per quello che è. “Questa vasta diffusione di immagini è positiva per il mercato. Ma non dobbiamo confondere la vendita di fotografie d’arte, le cui edizioni non sono in realtà limitate, con la vendita di opere fotografiche la cui tiratura non supera le trenta copie “. Inoltre YellowKorner è costruito su un modello editoriale, e remunera i suoi artisti molto meno delle Gallerie, il 5% contro il 40%. Se si osserva lo sviluppo del mercato negli ultimi 10 anni, tuttavia, non sembra che l’accessibilità del mezzo sia stato di ostacolo. La proliferazione di fiere e vendite all’asta di fotografai contemporanea vede la presenza di una produzione artistica in aumento in cui distinzioni e gerarchie emergono, per la forza delle cose, mano a mano che la fornitura aumenta. (…) Oggi il mercato della fotografia mette a fuoco gli entusiasmi e prepara una strada sempre più ampia per far sì che diverse voci creative da tutto il mondo si possano esprimere, provenendo da tutte le culture. (…) Coloro che fanno parte del mondo dell’arte non possono restare indifferenti all’esplosione del mercato fotografico, che ha mandato in frantumi i suoi confini. L’energia della ottava arte è fuori discussione.”

 

Il volto del Santo

Ero a San Giovanni Rotondo pochi giorni fa e mi sono imbattuto in questo Hotel, che ha dato il titolo al nuovo libro di Simone Donati, fondatore di Terraproject (“Hotel Immagine“). Mi ha colpito, questa facciata che incornicia una fotografia di San Pio da Pietrelcina, per l’utilizzo dell’immagine di grande formato che ne propone l’icona in maniera così vistosa.

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L’Hotel Immagine a San Giovanni Rotondo (FG). Ha ispirato il titolo del libro del fotografo Simone Donati, ma ha colpito me per l’utilizzo della fotografia di Gaetano Mastrolilli che ritrae San Pio da Pietrelcina.

L’immagine utilizzata è quella forse più riconoscibile di San Pio da Pietrelcina, ed ha una storia un po’ triste per noi fotografi. Infatti il fotografo  Gaetano Mastrolilli (Ruvo di Puglia 1922 – Bari 1994) ha seguito per anni le vicende del monastero in San Giovanni Rotondo ed ha documentato tutte le principali cerimonie. Ma il suo nome, come spesso capita, non è associato alle immagini che hanno girato il mondo e che hanno reso possibile dare un volto alla santità del frate cappuccino. In particolare l’immagine di cui stiamo parlando è stata dallo stesso autore riquadrata e “lavorata” (oggi diremmo “postprodotta”) (sotto vedete lo scatto originale, esposto in una mostra  a Bari nel novembre 2010) fino a diventare, in varie versioni,  l’icona ufficiale del Santo. Il protagonista è stato isolato dall’ambiente circostante mediante lo scontorno, e la stampa BN è stata poi colorata mano creando anche l’effetto aureola. L’inquadratura è perfetta, il volto di 3/4 leggermente dall’alto e l’espressione è pensosa, concentrata, gli focalizzano qualcosa fuori campo … insomma è una immagine strepitosa che ha tutte le caratteristiche per diventare un simbolo. Per Cattolici e Ortodossi la raffigurazione dei Santi e di altre figure sacre ha sempre rivestito una enorme importanza e gran parte della storia dell’arte europea, dal medioevo fino al ‘700, è in realtà una storia di immagini che avevano una ben precisa funzione religiosa. Mastrolilli ha creato con il mezzo fotografico una iconologia adatta ad un santo moderno ed ha quindi risposto ad una esigenza molto sentita, per questo le sue immagini hanno avuto una diffusione universale.

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San Pio da Pietrelcina, foto di Gaetano Mastrolilli, 1958

 

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la foto di Gaetano Mastrolilli, da lui stesso scontornata e colorata a mano, è diventata un’icona poi declinata e riprodotta un pò dappertutto (siti web, imaginette, souvenir ecc.)

 

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L’immagine esposta a San Giovanni Rotondo il giorno della beatificazione (16 giugno 2002)

ecco come il sito “FotoPadrePio” riassume la vicenda: “Gaetano Mastrorilli, fotografo e cine operatore ufficiale del Convento dei Cappuccini di San Giovanni Rotondo dal 1952, ha realizzato le più belle immagini di Padre Pio e importanti filmati di momenti ed eventi che si sono susseguiti nella vita del Santo. Tra queste fotografie è stata scelta l’immagine ufficiale per la canonizzazione di San Pio. Tale foto è stata vista dai moltissimi fedeli presenti per l’evento, in P.zza San Pietro a Roma il 16/06/2002. Il ritrovamento del negativo originale è stato quasi un miracolo per la figlia del fotografo, che molte volte ha visionato il materiale lasciato in eredità dal Padre, e non sapeva di esserne in possesso. Da questa fotografia con negativo bianco e nero 6×6, Gaetano Mastrorilli, ha elaborato ritoccando e scontornando a mano, l’immagine che è poi diventata la più importante e la più conosciuta nel mondo di San Pio”.

Fonti: “Il Fotografo e il Santo” mostra fotografica a cura di Patrizia Mastrolilli, Bari, Sala Murat, novembre 2010  (Catalogo edito da Gelsorosso, Bari 2010) / sito web FotoPadrepio.com

E ALLORA ?

Molte delle foto esposte nella nuova mostra di Wolfgang Tillmans, PCR – potrebbero, secondo il critico del Guardian Sean O’Hagan, fare sorgere in noi la domanda: “E allora ?” Al centro del progetto sembra esserci proprio la qualità sfuggente del qui ed ora, la vita con il suo incessante fluire, l’invito a viverla pienamente. In questo modo foto di nightclubs sono affiancati a still-life, particolari di erbacce di giardino sono esposti (giganteschi) vicino a (piccoli) ritratti di amici o conoscenti dell’autore.

Wolfgang Tillmans, water melon still life, 2012, color photograph. COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

Wolfgang Tillmans, water melon still life, 2012, color photograph. COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

La mostra PCR (Polymerase Chain Reaction, una tecnica di amplificazione usata in genetica per studiare il DNA) mescola tantissimi “generi” fotografici  sfruttando pienamente le possibilità offerte dalla Galleria di David Zwirner, con stampe di tutte le dimensioni spesso appese ad altezze impossibili. Sembrano appunto tentare di documentare il fluire dell’esistenza allargando a dismisura la categoria del fotografabile, un processo fotografico in cui il fotografo tende a sottrarsi sempre di più. “La fotografia di Tillmans sembra spontanea perchè egli tende a sottrarsi al processo e lascia fare il lavoro ai suoi soggetti. In “Water Melon still-life” (Natura morta con anguria) del 2012 ha lasciato un pezzettino di anguria in una ciotola per qualche giorno finchè il succo non si è separato e decomposto. Tillmans aveva capito così di avere colto qualcosa di bello” (dall’articolo del Guardian). L’autore sfrutta a pieno le possibilità offerte dalla tecnologia digitale, ad esempio per le foto notturne del Sunset Boulevard (sarebbero state impossibili qualche anno fa dice l’autore in una intervista.), ma inserisce nella mostra anche scansioni di carta fotografica tradizionale sviluppata senza essere stata esposta, sottoposta ad un tale ingrandimento da diventare astratta.

Wolfgang Tillmans - COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

Wolfgang Tillmans – COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

Wolfgang Tillmans, Sunset night drive, c, 2013, color photograph. COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

Wolfgang Tillmans, Sunset night drive, c, 2013, color photograph.
COURTESY DAVID ZWIRNER, NEW YORK

dal sito: http://www.pasunautre.com/this-and-that-main/2015/9/21/art-review-wolfgang-tillmans-pcr-at-david-zwirner-in-new-york

L’autore durante l’inaugurazione della mostra (16 settembre 2015), dal sito: pasunautre.com

Per finire ricordiamo che questo tipo di progetto (cioè il decidere di fotografare e mostrare anche la banalità dell’esistenza) sia possibile a partire da una posizione autoriale come quella riconosciuta a Tillmans dal mercato dell’arte. Ad esempio la foto qui sotto è stata venduta nel 2004 da Christie’s per £ 86.500,00

LOT 63 , SALE 1513 WOLFGANG TILLMANS (B. 1968) FREISCHWIMMER, 56, 2004 PRICE REALIZED £86,500

LOT 63 , SALE 1513
WOLFGANG TILLMANS (B. 1968)
FREISCHWIMMER, 56, 2004
PRICE REALIZED
£86,500

Il grado zero

Life_081652

due varianti dello stesso modulo fotografate con la stessa prospettiva per facilitare la lettura delle differenze.

Fotografare un oggetto di design significa entrare in sintonia con il progettista, che spesso vede materialmente il prototipo per la prima volta proprio sul set fotografico. La richiesta per il progetto “hABITAPULIA 2020” era di realizzare fotografie pulite, su fondo bianco (altre informazioni qui). Questa fotografia si potrebbe definire di “grado zero”, perchè non prevede l’utilizzo di elementi caratterizzanti del linguaggio fotografico quali ambientazione, luce strutturata,  postproduzione (vignettatura, saturazione, contrasto ecc..). In altre parole è un tipo di foto in cui lo “stile” sembra non abbia alcuna possibilità di venire alla luce. Però proprio in questa fotografia “pulita” ci sono tantissime variabili che consentono al fotografo di dare una propria lettura dell’oggetto. E queste variabili vanno analizzate e discusse con le persone che lo hanno creato e lo considerano quasi come un “figlio”. Il tipo di obbiettivo, la distanza, l’altezza, l’angolazione, se combinate insieme possono portare a migliaia di variabili. Qui mostriamo uno dei 13 progetti fotografati, con qualche ragionamento fatto da noi in maniera “fotografica” durante le riprese … (Progetto “Life” di Salvatore Spaltro e Giuseppe Losole, prodotta dalla Scaff System di Ostuni – BR, selezionata per Habitapulia 2020 edizione 2015 – fotografie realizzate in location).

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un elemento modulare del progetto “Life”. Inquadratura “classica” a circa 45° rispetto ai due assi principali.

Life_081665

una piccola variazione di altezza ed angolazione – mantenendo invariata la distanza – danno due letture diverse dello stesso modulo.

 

in questo caso era importante far capire la modularità del progetto

in questo caso era importante far capire la modularità del progetto, erano necessarie quindi inquadrature che esemplificassero la possibilità di raccordo. In ordine, dall’alto: un modulo singolo, 4 moduli montati in maniera lineare (inquadratura simile a quella del modulo singolo, per facilitare la lettura), 4 moduli montati in maniera curva grazie ad elementi di raccordo in colore grigio (in questo caso l’inquadratura è cambiata, ci siamo alzati il più possibile per consentire la lettura della curva.

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Una inquadratura che sfrutta un punto di vista “non naturale” perchè situato esattamente al centro della U descritta dai tre lati del modulo. In questo modo si apprezza la voluta non ortogonalità dei lati tra di loro.

Alcune immagini del “backstage”, abbiamo organizzato velocemente le riprese nello Show-Room dell’azienda produttrice, la Scaff System ad Ostuni(BR).

Backstage_Habitat-8151

Backstage_Habitat-8155

Chi ama, stampa !

Vint Cerf , vicepresidente della Google (fotografato da Murdo Macleod): “If there are photos you really care about, print them out.” (Se tenete davvero ad una foto, stampatela)

Vint Cerf , vicepresidente della Google (fotografato da Murdo Macleod): “If there are photos you really care about, print them out.” (Se tenete davvero ad una foto, stampatela)

Preparandomi per un incontro sulla stampa fine art sono stato colpito da un’intervista (Jan Sample sul Guardian del 13 febbraio) al vicepresidente di Google, Vint Cerf, sul problema della caducità dei software. Mentre infatti ci concentriamo (giustamente) sopratutto sulla conservazione dei dati, dei bytes, eseguendo back-up su supporti fisici o salvandoli sul “cloud”, dovremmo essere consapevoli che il problema potrebbe consistere nel fatto di non avere più il software in grado di leggere quei dati. La Google sta appunto lavorando su questo fronte. “If there are photos you really care about, print them out.” Avete una fotografia cui davvero tenete ? stampatela (possibilmente come Fine Art, aggiungo io). Attualmente è l’unico sistema per garantire una conservazione di lungo periodo. Per stampa fotografica “Fine Art” intendo una stampa inkjet di alta qualità (generalmente con stampanti Epson) in cui sia l’inchiostro che la carta siano certificati dal produttore relativamente alla loro durata nel tempo. Riflettevo sul binomio analogico / digitale; pensiamo ai granuli di alogenuri d’argento del procedimento classico del bianco e nero. Il loro grandissimo numero e la possibilità infinita di variazione della distribuzione di quelli anneriti rende possibile il cosiddetto “tono continuo” contrapposto alle quantità discrete, discontinue, della rosa di stampa del procedimento offset o ai pixels del monitor. La stampa inkjet “fine Art”, usando un grande numero di dpi (dots per inches, cioè “macchie d’inchiostro” per pollice), generalmente 1440 oppure 2880, si avvicina moltissimo all’effetto del tono continuo e consente di “godere” appieno della visione di una immagine. Inoltre garantisce una conservazione del tempo molto prolungata, che sui può avvicinare a quella di una stampa bianco e nero ben lavata e ben conservata

4.-iceberg

Sebastiano Salgado, dal progetto “Genesis”. Salgado ora fotografa e postproduce in digitale, con uscita finale su pellicola negativa bianco nero 4″x5″, che fa poi stampare da ingranditore su carta chimica.

Sebastião Salgado , che oltre ad essere un grande fotografo è anche impegnato da anni in progetti di conservazione dell’ecosistema amazzonico, ha utilizzato per il suo progetto “Genesis” una tecnica mista: riprese e postproduzione in digitale, output su pellicola negativa 4″x5″ bianconero a tono continuo, stampa analogica su carta chimica. In una bella intervista sul sito della Ilford (ora rimossa ma su può leggere qualcosa qui) Salgado manifesta appunto la sua preoccupazione per la conservazione digitale del suo Archivio, o almeno delle fotografie più importanti. Per questo, pur apprezzando la superiorità del procedimento digitale (maggiore sensibilità, maggiore controllo) preferisce archiviare un negativo bianco nero 4″x5″ che, ben conservato, ha maggiori probabilità di sopravvivenza nel futuro rispetto ad un file digitale. Anche per il Cinema si pone un problema simile, e la soluzione potrebbe essere anche in questo caso la stampa, su pellicola bianco nero, di negativi di separazione. “Potrebbe essere il solo metodo di conservazione nel lungo termine ad un costo contenuto”(dal sito della Cinemathéque Française)

Una foto ricordo del 2009 nel nostro studio: l'artista Matthew Watkins  con una troupe-televisiva Sud-Coreana nel nostro studio durante la stampa "Fine Art" del suo portfolio.

Una foto ricordo del 2009 nel nostro studio: l’artista Matthew Watkins (al centro) con una troupe-televisiva Sud-Coreana nel nostro studio durante la stampa “Fine Art” del suo portfolio.

Oltre lo stock

La foto stock utilzzata per la campagna mondiale dell’Enit è la stessa utilizzata da decine di siti commerciali del Trentino

Ci siamo spesso occupati della foto di Stock, noi stessi siamo contributori di un Archivio on line dedicato al paesaggio italiano (www.imagitaly.com). La documentazione fotografica di un paesaggio o di un contesto urbano è per eccellenza una foto di Archivio, nel senso che necessita di tempo e condizioni di luce adatte, quindi può raramente essere fatta “velocemente” su commissione. Quindi ha senso il concetto di accumulo nel tempo delle riprese, tipico dell’Archivio. Sorprende a volte però l’utilizzo delle foto stock – non esclusive e già ampiamente utilizzate – in occasione di campagne che hanno a disposizione tempi e budget sufficienti. Un esempio e la campagna per Expo 2015  fonte di tantissime polemiche e costata quasi 5 M (milioni) di Euro, dove si è fatto ricorso a foto stock ampiamente usate come nell’esempio che ho riportato sopra. Inizialmente alcuni articoli di stampa (tipo questo su Republica) riportavano come scandaloso il fatto che per scattare 7 foto si fossero impiegati 1 anno e mezzo. In realtà le foto erano già pronte in rete, in realtà forse il tempo è stato impiegato a …. postprodurle !

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Il confronto fatto, in una ricerca di marketing, tra un sito che utilizza una immagine stock (la bella centralinista con le solite cuffiette) ed il ritratto di un impiegato dell’Azienda; si tratta di una finanziaria specializzata in prestiti personali.

A maggior ragione un sito aziendale dovrebbe secondo noi usare fotografie che riguardino l’azienda e le persone che ci lavorano. Ho trovato in rete un interessantissimo post su una ricerca di marketing (stock images or real people ?) dove viene chiaramente indicato come il coinvolgimento dei fruitori del sito aumenta quando al posto delle solite foto di stock vengano utilizzate foto di persone reali. Anche se nei motori di ricerca le foto stock sono indicizzate al pari di quelle originali appositamente create (vedere l’interessante domanda fatta a Matt Cutts, responsabile Google per il webspam), il valore dei contenuti fotografici può influenzare il tempo di permanenza sui siti. Molte Agenzie di comunicazione stanno pubblicando posts che mettono in guardia dall’eccessivo utilizzo delle foto di stock. Ad esempio sul sito della Brafton un articolo mette in risalto il fatto che la fotografia originale (contrapposta a quella “generica” cioè di stock) può aumentare la percezione di qualità ed autorevolezza trasmessa dal sito Aziendale. Chi si occupa di SEO in Azienda dovrebbe tenere conto quindi non solo della indicizzazione ma anche di altri fattori che secondo molti osservatori saranno prima o poi inseriti negli algoritmi del motore di ricerca di Google.

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due foto di fabbrica a confronto… l’elmetto giallo è presente in entrambe…  a destra una nostra foto del 94 (Centro Acciai a Bitonto)

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un esempio tratto dal blog boagworld.com: in questo sito è stata inserita un’anteprima dell’Archivio Istockphoto senza neanche togliere la filigrana