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Chi ama, stampa !

by su 25/02/2015
Vint Cerf , vicepresidente della Google (fotografato da Murdo Macleod): “If there are photos you really care about, print them out.” (Se tenete davvero ad una foto, stampatela)

Vint Cerf , vicepresidente della Google (fotografato da Murdo Macleod): “If there are photos you really care about, print them out.” (Se tenete davvero ad una foto, stampatela)

Preparandomi per un incontro sulla stampa fine art sono stato colpito da un’intervista (Jan Sample sul Guardian del 13 febbraio) al vicepresidente di Google, Vint Cerf, sul problema della caducità dei software. Mentre infatti ci concentriamo (giustamente) sopratutto sulla conservazione dei dati, dei bytes, eseguendo back-up su supporti fisici o salvandoli sul “cloud”, dovremmo essere consapevoli che il problema potrebbe consistere nel fatto di non avere più il software in grado di leggere quei dati. La Google sta appunto lavorando su questo fronte. “If there are photos you really care about, print them out.” Avete una fotografia cui davvero tenete ? stampatela (possibilmente come Fine Art, aggiungo io). Attualmente è l’unico sistema per garantire una conservazione di lungo periodo. Per stampa fotografica “Fine Art” intendo una stampa inkjet di alta qualità (generalmente con stampanti Epson) in cui sia l’inchiostro che la carta siano certificati dal produttore relativamente alla loro durata nel tempo. Riflettevo sul binomio analogico / digitale; pensiamo ai granuli di alogenuri d’argento del procedimento classico del bianco e nero. Il loro grandissimo numero e la possibilità infinita di variazione della distribuzione di quelli anneriti rende possibile il cosiddetto “tono continuo” contrapposto alle quantità discrete, discontinue, della rosa di stampa del procedimento offset o ai pixels del monitor. La stampa inkjet “fine Art”, usando un grande numero di dpi (dots per inches, cioè “macchie d’inchiostro” per pollice), generalmente 1440 oppure 2880, si avvicina moltissimo all’effetto del tono continuo e consente di “godere” appieno della visione di una immagine. Inoltre garantisce una conservazione del tempo molto prolungata, che sui può avvicinare a quella di una stampa bianco e nero ben lavata e ben conservata

4.-iceberg

Sebastiano Salgado, dal progetto “Genesis”. Salgado ora fotografa e postproduce in digitale, con uscita finale su pellicola negativa bianco nero 4″x5″, che fa poi stampare da ingranditore su carta chimica.

Sebastião Salgado , che oltre ad essere un grande fotografo è anche impegnato da anni in progetti di conservazione dell’ecosistema amazzonico, ha utilizzato per il suo progetto “Genesis” una tecnica mista: riprese e postproduzione in digitale, output su pellicola negativa 4″x5″ bianconero a tono continuo, stampa analogica su carta chimica. In una bella intervista sul sito della Ilford (ora rimossa ma su può leggere qualcosa qui) Salgado manifesta appunto la sua preoccupazione per la conservazione digitale del suo Archivio, o almeno delle fotografie più importanti. Per questo, pur apprezzando la superiorità del procedimento digitale (maggiore sensibilità, maggiore controllo) preferisce archiviare un negativo bianco nero 4″x5″ che, ben conservato, ha maggiori probabilità di sopravvivenza nel futuro rispetto ad un file digitale. Anche per il Cinema si pone un problema simile, e la soluzione potrebbe essere anche in questo caso la stampa, su pellicola bianco nero, di negativi di separazione. “Potrebbe essere il solo metodo di conservazione nel lungo termine ad un costo contenuto”(dal sito della Cinemathéque Française)

Una foto ricordo del 2009 nel nostro studio: l'artista Matthew Watkins  con una troupe-televisiva Sud-Coreana nel nostro studio durante la stampa "Fine Art" del suo portfolio.

Una foto ricordo del 2009 nel nostro studio: l’artista Matthew Watkins (al centro) con una troupe-televisiva Sud-Coreana nel nostro studio durante la stampa “Fine Art” del suo portfolio.

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