Perchè tutti i fotografi vogliono pubblicare un libro ?
A proposito di fotografi e piccola editoria segnalo questo bell’articolo tratto dal blog di Rob Haggart: Aphotoeditor (già segnalato in un precedente articolo)… Ho deciso di tradurlo perchè a mio avviso è molto interessante…. In realtà il testo che andrete a leggere è di Joanna Hurley, fondatrice della Hurleymedia, che in occasione di una lettura di portfolios a Santa Fè aveva osservato, in una conversazione con Maggie Blanchard (a sua volta proprietaria di una piccola casa editrice, la Twin Palms Publishers, specializzata in editoria fotografica) come fosse incredibile il fatto che ognuno desiderasse avere un libro pubblicato. Rob Haggart, che aveva ascoltato l’osservazione, al ritorno dall’evento le ha posto via mail la seguente domanda: “perchè tutti pensano di aver bisogno di (pubblicare) un libro fotografico ?”. Solo una nota: pensiamo comunque che la realtà statunitense è completamente diversa dalla nostra, e che una tiratura di 2-3.000 copie che negli USA viene considerata di nicchia per un editore italiano sarebbe considerata un successo (nel settore fotografico). C’è anche da dire che ora la diffusione dell’editoria digitale permette anche in questo settore il fai da te, tuttavia il rapporto con un editore rimane a nostro avviso, quando possibile, un grandissimo arricchimento per un fotografo. Torniamo al blog di Rob Haggart: questa è stata la risposta, lunga e articolata, di Joanna Hurley:
“E’ interessante che in questa era digitale i fotografi vogliano stampare un libro con il proprio lavoro. Pensano che un libro gli darà credibilità come artisti, ed aprirà loro una prospettiva di opportunità e riconoscimenti con musei, galleristi e pubblico. Questo desiderio di riconoscimento ed approvazione non è nuovo; quello che mi sembra nuovo, guardando da una prospettiva di 35 anni di lavoro nell’editoria, è che il desiderio spesso sorpassa la prospettiva ed il senso di dove uno realmente sia arrivato nella propria carriera di artista: in altre parole chiediamoci a che punto è la nostra ricerca e se siamo veramente pronti per un libro. Mentre pubblicare un libro al momento e nel modo giusto può farci fare il salto di qualità o rivitalizzare una carriera, se lo fa troppo presto o nel momento sbagliato, e senza un team creativo dietro di sè (come quello di una casa editrice), può sembrare un atto di vanità perchè non c’è nessuno che ha rivisto il lavoro oppure aiutato a dare una forma narrativa coerente alla sua presentazione. In questo nostro tempo di gratificazioni immediate e comunicazione istantanea, è naturale che le persone pensino che anche il riconoscimento del loro talento debba essere accellerato, e questo può portare all’idea che i loro progetti siano pronti prima di esserlo realmente. Il preciparsi verso il mercato – o la stampa di un libro – può essere dannosa nello svilupparsi della voce di una artista, della sua ricerca, e lo può addiritttura distrarre da lavoro in sè. Ma è altrettanto vero che la facilità di comunicare e le possibilità di condivisione del proprio lavoro possono incentivare un confronto che alla fine lo può rafforzare ed approfondire. Alla fine tutto si riduce al senso della misura dell’artista… penso che la consapevolezza e la messa in prospettiva del proprio lavoro facciano parte delle qualità che distinguono un vero artista. Ricordo una citazione di Georgia O’Keefe che parlando del suo dipingere fiori diceva: per vedere un fiore ci vuole tempo, come per farsi un amico ci vuole tempo. I fotografi pensano ai libri in modo molto diverso dagli editori. La maggior parte dei fotografi con cui ho parlato non sembrano rendersi conto delle condizioni in cui gli editori operano; vedono la questione solo dal loro punto di vista, cioè di volere un libro e pensare che loro (ed il mondo intero) siano pronti per questo. Non pensano che pubblicare sia una attività economica, e che per questo gli editori siano alla continua ricerca di cioò che può vendersi. Per un grosso editore questo vuol dire generalmente una retrospettiva di un grande artista, oppure un libro su un argomento ben conosciuto e che possa interessare a lungo. Gli editori più grandi operano sostanzialmente come delle multinazionali (che poi è quello che per la maggior parte sono) e così hanno una stratificazione di burocrazia. E’ molto difficile per un redattore o persino per una casa editrice che fa parte di un grosso gruppo avere il permesso di rischiare su un fotografo sconosciuto, oppure su un progetto insolito, per un semplice motivo: le vendite. Mentre uno di questi grossi editori ha bisogno di vendere più di 7.500 o 10.000 copie, un piccolo editore è contentissimo di vendere 2.000 o 3.000 copie, e la decisione è presa spesso da una sola persona. Ci sono grosse differenze rispetto a come viene gestito il settore editoriale, rispetto a quando io ho iniziato. Adesso sono le piccole case editrici che possono essere più agili e rischiare su un lavoro di un talento che sembri interessante. I redattori e gli editori di queste piccole case editrici sostanzialmente agiscono come curatori di una galleria. I loro acquirenti sono sostanzialmente collezionisti dei libri che pubblicano e si fidano così tanto del loro gusto che questi editori possono promuovere una carriera artistica semplicemente decidendo di pubblicarli, così come il curatore di una galleria può catapultare qualcuno sulla scena artistica semplicemente decidendo di esporlo in una mostra.” (dal blog di Rob Haggart, Aphotoeditor)
Sagge parole! Dovrebbero leggero in molti questo articolo!!!
Bravo Antonio.